Stamani, presto come al solito, ho scoperto che la mia città mi infastidisce.
Un po’ come quando ero piccolo e alle elementari, col grembiule nero e il fiocco bianco, sedevo sul banco di legno e Matteo, quel morammazzato del mio vicino di banco, teppista nei geni da più di 6 generazioni, mi dava i pizzichi sul gomito e sul braccio.
Viterbo è così: un pezzo di qualcosa, appoggiato da una parte.
Qualcosa che significava, che una volta aveva valore, qualcosa che rappresentava storia, avi.
Volevo usare una metafora per dipingere la mia città . Per farlo, prendo in prestito una foto che ho scattato all’interno della Galleria Morucci (che adoro e con il quale mi scuso per la mia successiva interpretazione), all’ingresso del quartiere storico di San Pellegrino. Per come la percepisco io, c’è un vecchio su una sedia che sembra sonnecchiare o che potrebbe, addirittura, star male o esser morto su quella stessa sedia. Di fronte, su un primo livello un cane che abbaia come a cercare di risvegliarlo o a cercare d’attirare attenzione per modificare uno status di quiete. Vicino, un albero […]